Onorevoli Colleghi! - Il problema delle intercettazioni telefoniche è diventato tema di dibattito in sede politica, giudiziaria e sociale. Lo spazio che gli è stato e gli viene dedicato da tempo dagli organi di informazione fa avvertire che esso è direttamente collegato al rischio di una possibile alterazione dei rapporti tra lo Stato, le sue strutture e i cittadini, con grave danno, non tanto e non solo per la privacy, ma per gli stessi diritti costituzionali. Per eliminare quel rischio e quel danno non si tratta di impedire l'intercettazione telefonica motivata dai fattori oggettivi di difesa dello Stato dalla illegalità, ma di stabilire i limiti dell'intervento perché esso non si trasformi in licenza soggettiva e perché nella sua genericità non coinvolga, con un'azione illegale, anche la legalità, che è quella che garantisce i cittadini. Si tratta di impedire che l'azione legale verso il singolo si trasformi, anche per ragioni di necessità o per errore, in azione illegale verso altri singoli non coinvolti.
      Se questo è il quadro generale di carattere politico, ve ne è un altro che va valutato per capire una situazione divenuta, per diversi motivi, insopportabile, e riguardante la generalità dei cittadini. L'intercettazione telefonica sembra diventata nel nostro Paese una scelta ordinaria degli apparati giudiziari; il metro di giudizio, logicamente, non può essere quello interno. Il raffronto va fatto anche a livello internazionale e con i dati statistici di fronte ai quali ci troviamo.
      I contratti telefonici hanno avuto negli ultimi anni incrementi del 115 per cento. Non c'è riscontro in nessun Paese europeo (e, almeno per motivi tecnologici, in nessun altro Paese al mondo, da quelli asiatici a quelli africani) di una situazione nella quale il potere giudiziario o un altro

 

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potere utilizzi l'intercettazione telefonica ai fini del controllo sociale. Se Orwell dovesse trovare un territorio nel quale dare una sistemazione al suo «grande fratello», quello italiano, in questo momento, sarebbe il più adatto.
      Questi dati impongono numerosi interrogativi. E li impongono in sede politica. Perché l'Italia assurge a campione mondiale delle intercettazioni telefoniche a fini giudiziari (e, per altri aspetti, a fini industriali)? Le congetture o le risposte potrebbero essere altrettanto numerose. Ce ne è una non veritiera. Quella di un Paese tarato, impregnato di illegalità diffusa, da nord a sud, con i ceti sociali (salvo poche illuministiche eccezioni fortunate da definire e da indicare), dai giornalisti agli imprenditori, piccoli e grandi, dai professionisti ai semplici lavoratori, dagli agricoltori agli artigiani sino alle donne impegnate fuori dalla famiglia, nei quali è assolutamente assente il concetto della legalità. Un Paese, cioè, a differenza degli USA e dei Paesi europei, dove il delitto di qualsiasi tipo è l'humus nel quale si vive e che, quindi, deve essere pulito e debellato con qualsiasi mezzo, anche con quello della illegalità. Se così fosse, meglio sarebbe consentire per legge la generalizzazione dell'intercettazione telefonica a tutti i cittadini, da quelli appena nati sino a quelli morti, logicamente tenendo fuori quelle poche illuministiche eccezioni addette al compito. Si produrrebbe così un nuovo sistema sociale e politico, senza molte elezioni e perdite di tempo, da offrire come esempio al mondo. Ma crediamo che non sia questa la verità né la prospettiva di un Paese che voglia vivere la propria democrazia.
      È invece probabile un'altra e più veritiera motivazione che potrebbe riguardare gli strumenti dell'indagine giudiziaria. Ovvero che l'intercettazione telefonica potrebbe avere sostituito i vecchi strumenti informativi di polizia giudiziaria, fatti di indagini ad personam, della ricerca di prove oggettive, di un iter di informazione e di conoscenza, di presenza intelligente (infiltrati) del controllo di polizia laddove (non solo nel mondo della droga) il delitto sociale o finanziario potrebbe essere realizzato, dai casinò alle banche, visto che c'è stato chi è riuscito, con maggiore capacità di Riina e di Provenzano, assassini e violenti, a realizzare in tre mesi 18 mila miliardi di lire di plusvalenze, a mettere all'estero 500 miliardi di lire frutto di transazioni con chiaro conflitto di interesse; visto che sembra esserci chi è riuscito a gestire senza appalti pubblici 1.000 miliardi di lire di lavori, passati al 60 per cento (in violazione delle leggi antimafia) ai subappaltatori i quali, quando decidono di chiudere (perché, in caso contrario, restano senza lavoro), chiedono la transazione per non presentare denuncia. L'intercettazione telefonica serve, così, per avere informazioni, ma con il rischio, certo soggettivo, di utilizzarle o di non utilizzarle non certo distinguendo tra destra e sinistra, tra piccoli e grandi, tra deboli e forti, tra cose facili e cose difficili, tra il relativamente piccolo arricchimento mafioso frutto della violenza fisica e il grande arricchimento di altra violenza, casomai finanziaria, fatta di contratti e non di bombe. Questo rischio esiste e va valutato poiché l'intercettazione telefonica non può essere uno strumento soggettivo, ma oggettivo. Si può capire in questa materia la scelta soggettiva dei quotidiani italiani che non sono né public company né società di redattori come in altri Paesi democratici, ma strutture subindustriali, dipendenti da uno o più imprenditori, di destra o di sinistra, con propri fini politici ed economici, casomai incidenti nel sistema borsistico al limite dell'insider trading o sostitutivi di quest'ultimo. In questo caso la oggettività è un auspicio. Nel caso della giustizia è un dovere.
      C'è infine, tra i tanti, un altro aspetto da valutare. Esso è costituito, come alcune indagini giornalistiche hanno stabilito, dagli interessi industriali e dai servizi che stanno a monte delle intercettazioni telefoniche. Quale è il budget dei produttori di macchine per l'intercettazione? Quale è il budget, di soldi e di risorse umane, dei servizi esterni per la gestione di quelle macchine? Quale è il
 

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budget, di soldi e di risorse umane, dei servizi di trascrizione? Così come va valutato l'esito del lavoro di intercettazioni, da quello pubblicato negli atti giudiziari, a quello distribuito in modo anonimo per fini occulti o poco occulti, a quelli che restano inutilizzati, comprensivi delle conversazioni private. Già altre volte il Parlamento ha dovuto interessarsi dei «faldoni» illegali del SISDE. Chi garantisce che il lavoro delle intercettazioni non venga utilizzato, al di là dell'uso di legge, per scopi illegali o anche soltanto ai fini del gossip o della maldicenza politica e sociale, con gravi ripercussioni anche umane, familiari e interpersonali? La continua produzione di libri che utilizzano, logicamente in modo soggettivo, il frutto non controllato delle intercettazioni e delle valutazioni di parte di quelle intercettazioni dimostra come il problema debba essere affrontato e risolto nell'ambito delle garanzie della legge e della difesa degli interessi dello Stato e dei cittadini.
      È per tutto questo che si ritiene di presentare la proposta di legge diretta alla istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema delle intercettazioni telefoniche nel nostro Paese, allo scopo di stabilire se quel sistema si muove nell'ambito assoluto della legge e se è possibile apportare, nel caso di necessità, modifiche alla stessa legislazione.
 

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